top of page
  • Immagine del redattoreRiccardo Mezzatesta

Aita Mari

Foto di Giorgia Pasquini.



Siamo al porto di Ortona, è domenica 26 febbraio. È sera.


I 38 migranti sono sbarcati verso mezzanotte del 24 febbraio, e alle 4 di mattina del 25 sono stati distribuiti in pullman per varie destinazioni in Abruzzo, ma le cattive condizioni meteo hanno impedito all’Aita Mari, la nave dell’ONG spagnola che li ha accompagnati al porto di Ortona, di ripartire subito.


Il secondo ufficiale dell'Aita Mari, Oskar, ci accoglie con un sorriso largo. È sera, e noi siamo un gruppo eterogeneo, ricoperto da vari strati di pile e doppi cappelli. Lui ha solo una felpa dell’Antiifa e un paio di jeans, ma immaginiamo sia abituato a ben altro. Oskar ha qualche piercing, i capelli corti di lato e quelli sopra raccolti in pochi rasta. Parla spagnolo, o inglese con accento così forte che preferiamo parli spagnolo.



Saliamo, e siamo immediatamente nello spazio coperto dedicato ad ospitare i migranti. È grande come una stanza grande, protetto da una struttura che ricorda un gazebo fisso, ed al centro, sopra uno sgabello, c’è un grande barattolo pieno di mozziconi di sigarette.



Intravediamo qualcuno dell’equipaggio, ma la maggior parte è già a dormire, ci spiega. Consegniamo un paio di bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo, Oskar ride e ringrazia, mostra le bottiglie ai pochi compagni svegli, che spariranno sottocoperta da lì a breve.



“La nave si chiama Aita Mari dal nome di un pescatore basco che ha salvato molte persone” ci spiega “ed è alla sua nona missione. L’equipaggio totale è composto da 13 persone tra professionisti e volontari. C'è sempre un dottore e un infermiere. Questa volta abbiamo ospitato poche persone in condizioni abbastanza buone, ma ci sono stati casi in cui siamo arrivati a dover trasportare 170 persone, o in pessime condizioni. E bisogna prendersi cura e cucinare per tutti, per tutto il tempo che siamo in mare. Infatti abbiamo sempre un sacco di cibo, perché non sai mai cosa puoi incontrare.”



Chiediamo dei bambini piccoli, come si gestisce questa situazione.


“Sì, questa volta c’erano due bambini molto piccoli, uno di circa sette mesi mi pare, ma era con la madre. La maggior parte dei minori sono non accompagnati, solo i bambini molto piccoli o neonati sono con la madre. Noi cerchiamo di farli giocare, di distrarli. Il problema grosso ci è capitato una volta che la madre è morta nel viaggio. Lì è stato complicato, e noi non avevamo neanche il latte in polvere quella volta.”



Domandiamo come reagiscono i migranti quando vengono salvati, se sono contenti, in che condizioni stanno.


“Dipende.” risponde “Dalla Tunisia arrivano in condizioni migliori, dalla Libia hanno subito praticamente tutti torture, stupri, hanno ancora i segni di coltello addosso. Così è importante che quando ci vedano capiscano subito che siamo una missione di salvataggio, perché alcuni sono terrorizzati dall’idea che potremmo essere i libici.”



Gli chiediamo cosa pensa dell’accoglienza che hanno avuto in Italia.


“Ortona per noi è molto scomodo, ci costringe a molti giorni in mare e ogni giorno in mare brucia un sacco di soldi. Il nostro budget è limitato, ci finanziamo tramite donazioni, e anche per quello non abbiamo chi è dedicato solo alla navigazione e chi all’accoglienza, dobbiamo fare un po’ di tutto. Arrivando in Italia ci sono state molte persone che ci hanno dato supporto, e per noi è importante e li ringraziamo. Ma arrivati abbiamo trovato un elicottero, la nave della guardia costiera che ci ha scortato da quando eravamo molto lontani dalla costa (anche perché forse il tempo non era buono) e allo sbarco tantissimi poliziotti, marina. Immagina i migranti che non sanno niente, alcuni hanno attraversato il deserto, il mare. E quando finalmente sbarcano come prima cosa si trovano davanti un muro di divise. Tutto questo enorme dispiegamento, per 38 persone.” Scuote la testa.



Ci porta a fare un giro della nave. Ci spiega che fanno il tampone COVID immediatamente, e in caso separano i positivi e allestiscono una spazio apposito. C‘è anche uno spazio più riparato dove mettono donne incinte o situazioni particolari. Noto un po’ ovunque dispenser di sapone disinfettante, QR code con spiegazioni per grandi e per piccoli, e una targa con l’indicazione del wifi. Oskar ci fa vedere le docce e i bagni, e ci spiega che dopo che le persone si sono lavate, sono andate in bagno, e hanno vestiti nuovi, allora vedi un cambiamento. Si rilassano, finalmente, si vede che si sentono di nuovo “umane”, e alcuni crollano subito addormentati.



Gli chiediamo perché lo fa. Come è arrivato a farlo.


Ci spiega che lui è stato sempre un attivista, aveva lavorato su navi da turisti e veniva pagato molto di più. Così ha iniziato, ha lavorato su navi della Sea Shepard e Frontex, e ora qui. Per lui è bellissimo, dice, anche se vengono pagati molto poco è come essere pagati per essere attivisti. Ma lo stress è molto forte, praticamente continuo. Infatti è difficile trovare professionisti disposti a farlo, ad avere questa vocazione. Molti fanno una missione e non tornano più. Ci racconta anche che di recente ha dovuto prendere una pausa, perché aveva raggiunto il limite; ma quando scendi, dice, ci vuole un po’ di tempo prima di “riconnetterti”.


Si tira su il cappuccio della felpa. “La prima settimana a terra, venendo da situazioni così estreme, dalla sofferenza che vedi, tutto ti sembra superficiale, irreale.” dice.





Una di noi gli chiede quanta rabbia c’è in quello che fa.


Per la prima volta, gli occhi gli si velano.


“Tanta.” risponde.



Gli chiediamo se ha una famiglia. Fa una mezza risata, forse un po’ amara. “No ho una novia, una ragazza, che lavora su un’altra nave, quindi non ci vediamo quasi mai. Avremmo dovuto incontrarci dopo questa missione, ma siamo ancora bloccati qui non so per quanto, e non ci vedremo. Alcuni membri dell’equipaggio hanno moglie e figli, e per loro è ancora più dura.”


Sentiamo che l’abbiamo tempestato abbastanza di domande. I suoi compagni sono a letto da tempo, e lui è visibilmente stanco, in più di un modo. Ci aiuta a scendere dalla nave.



Per donare all'ONG "Salvamento Maritimo Humanitario", cui appartiene l'Aita Mari, clicca su questo link

123 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page